La storia calcistica del numero 14, Johan Cruijff “Il Profeta del gol” come lo definì Sandro Ciotti, nasce tra le strade di Amsterdam

Se nella storia del calcio vi è un giocatore che possa rappresentare adeguatamente lo spirito rivoluzionario, questi è indubbiamente Johan Cruijff, il motivo è presto detto: quando sulla fine degli anni 60 nasce in Olanda una nuova concezione del gioco, il cosiddetto calcio totale, il miglior interprete di questa innovazione è lui, bandiera dell’Ajax, numero 14 tanto per dichiarare anche simbolicamente che la divisione dei ruoli tipica della tradizione è finita. La nuova teoria pretende movimenti incessanti, giocatori capaci di uscire dagli spartiti abituali, grande condizione fisica e adeguamento anche da parte dei giocatori più talentuosi al lavoro collettivo, alle ragioni di squadra. Johan Cruijff è l’uomo adatto per propugnare una tale novità visto che sa fare tutto, dotato, come sostiene la critica con un’efficace immagine, degli occhi dietro la testa che gli consentono di vedere sempre la soluzione migliore.

Johan Cruijff è un attaccante ma dai compiti multiformi che svaria, rientra, difende, imposta, assiste i compagni e sa concludere. Tutto questo lo sa fare già a 18 anni, frutto maturato anzitempo di quella straordinaria scuola calcistica rappresentata dall’Ajax. Ben tre sono i Palloni d’Oro conquistati in carriera da Johan Cruijff, impresa mai riuscita prima di lui ad alcuno dei suoi colleghi, gli anni che lo vedono ai vertici del calcio europeo sono il 1971, il 1973 e il 1974, coincidono con affermazioni importanti del suo club, l’Ajax, che dal 1971 compone una striscia di tre successi consecutivi in Coppa dei Campioni. E’ soprattutto nella finale del 1972 che Cruijff  mette in luce tutto il suo potenziale quando a Rotterdam stordisce l’Inter e in particolare il suo diretto controllore Gabriele Oriali, firmando la doppietta che vale il trionfo.

La consacrazione definitiva di Cruijff e più in generale di tutta la scuola olandese, avviene ai Mondiali tedeschi del 1974. Il gioco espresso dalla nazionale, soprannominata Arancia meccanica, è spietato quanto la banda  dell’omonimo film di Stanley Kubrick. Johan Cruijff contribuisce con i suoi goal ad evidenziare con chiarezza l’abissale differenza tra il calcio della nuova epoca e quello compassato dei sudamericani. Argentina e Brasile fanno la parte delle vittime senza scampo ma non basta per vincere il Mondiale, nonostante un rigore conquistato in finale da Johan dopo appena 40 secondi. L’Arancia meccanica è costretta alla resa dai più pragmatici tedeschi.

Nel 1974 Johan Cruijff si trasferisce al Barcellona, è un trasferimento che fa sensazione. La chiusura dell’esperienza con l’Ajax sa anche di fine di un’epoca, infatti da questo momento in poi le apparizioni in nazionale si fanno sempre più rare e polemiche soprattutto per una questione di soldi. In catalogna l’olandese vince un campionato, il primo che disputa, poi pur restandovi altre quattro stagioni non riesce più a mantenere i livelli che lo hanno reso celebre. A fine carriera Johan Cruijff prenderà la via degli Stati Uniti, il nuovo Eldorado dove monetizzare ancora la sua fama, per poi chiudere definitivamente nel suo paese prima con l’Ajax e poi con i nemici storici del Feyenoord. Ma uno come lui lontano dal campo non sa proprio starci. Eccolo perciò aprire una nuova fase della sua vita da allenatore e anche questa,  soprattutto nel Barcellona, è stata un’esperienza vissuta alla Cruijff, ovvero ricca di soddisfazioni.

Lunghissimo il suo carnet di successi  impreziosito da: tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa europea, una Coppa delle coppe, ben dieci titoli nazionali e sette coppe nazionali, sei conquistati in Olanda e una in Spagna.

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