Momento difficile per Pippo Inzaghi sulla panchina del Milan ma finora non è un Ciro Ferrara bis

Più che l’avvicendamento della scorsa stagione, con l’accantonamento di Massimiliano Allegri e l’arrivo in pompa magna dell’esordiente Clarence Seedorf, non è improbabile che sulla permanenza di Pippo Inzaghi sulla panchina del Milan stiano contando almeno quattro considerazioni: chi è che decide (ovvero: chi comanda realmente in società e – di conseguenza – quale minima prospettiva può indicare per il prossimo futuro); la consapevolezza che le grandi o presunte tali non sono facilmente aggiustabili a questo punto della stagione; il senso di protezione nei confronti di una bandiera che i tifosi continuano ad amare; infine, il dubbio che i cambi di panchina servano a poco, se non a costruire alibi per i giocatori.

Ricordate Ciro Ferrara nella stagione 2009-10 con la Juventus? Un ottimo inizio (anche più convincente di quello del Milan di Inzaghi); anche una certa qualità di gioco e soprattutto un’idea tattica coerentemente perseguita (il rombo con Diego vertice alto, mentre oggi per quanto riguarda il mister rossonero è evidente come si discuta molto poco mediaticamente delle sue scelte, il che è sintomatico di come non sia riuscito ad attecchire “culturalmente” nel panorama odierno con una propria idea); infine, l’esonero proprio di questi tempi scattato con l’eliminazione in Coppa Italia da parte dell’Inter a San Siro. Cosa che Inzaghi ha scongiurato e – probabilmente – la circostanza che il calendario metta il Parma domenica sera da affrontare in casa può senza dubbio allungare la vita.

Allegri venne allontanato da Milanello con la squadra nella parte destra della classifica. Seedorf riuscì a riposizionarla più in alto, non quanto bastasse però per centrare l’obiettivo minimo della qualificazione in Europa League. Perciò non è probabilmente un azzardo, a meno di una caduta libera, pensare che con la dovuta calma Inzaghi possa anche far crescere la squadra e riposizionarla più in alto, anche se continuare a parlare di terzo posto quando si ha un -10 dal Napoli è solo un’illusione che rischia ancor più di depauperare le energie. E poi, appunto, c’è l’esempio di Ciro Ferrara: la Juve non si risollevò per nulla, nonostante qualche iniziale spasmo di vitalità. Perché non c’è niente di peggio e di più difficile per un club titolato che doversi necessariamente concentrare su obiettivi in scala ridotta.

Laicamente, fuori dagli strepiti della piazza reale e social che pretende quasi sempre la testa dell’allenatore, è interessante fare i conti con la stagione in corso. In ordine di esonero, ecco il bilancio finora maturato.

  1. Il cambio Corini-Maran al Chievo non ha portato nessun miglioramento: terzultimo era, terzultimo è il club veronese.
  2. Mazzarri ha lasciato l’Inter a -5 dalla zona Champions. Mancini, con tutti i colpi di mercato, si trova esattamente al doppio: -10.
  3. Il Cesena con Bisoli era penultimo. Con Di Carlo idem.
  4. Bene, invece, a Cagliari. Nonostante l’esordio shock a Palermo, Zola ha risollevato i sardi portandoli per ora fuori dalla serie B virtuale.

Il responso finale è: tre cambi “inutili, uno positivo. C’è da riflettere, se i presidenti ne avessero voglia.

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