Paolo Maldini racconta il suo primo incontro con il mister Arrigo Sacchi al suo arrivo nel Milan di Berlusconi

Sacchi, alla Sacchi, sacchismo, sacchiano: dalle diverse declinazioni del nome dell’allenatore di Fusignano Arrigo Sacchi che ha allenato e vinto tutto con il Milan nella seconda metà degli anni Ottanta, si può evincere quale sia stata la portata del suo ingresso nel calcio italiano, con conseguenze e influenze tutt’ora forti nel nostro calcio. Innanzituto è bene chiarire che questa importanza è determinata anche dal fatto che Sacchi prima di altri ha deciso di imporre un nuovo modo di giocare al pallone nel nostro Paese: tattica ma anche e soprattutto di mentalità.

Se prima di lui Trapattoni che aveva vinto per un decennio con la Juventus e Bearzot ct campione del Mondo nel 1982, rappresentavano due icone del calcio italiano ma anche due modelli che sembravano rappresentarne in pieno le prerogative e le caratteristiche tecnico tattiche, con Sacchi si respira un’aria assolutamente nuova e rivoluzionaria. Ma il calcio stava cambiando e con o senza Sacchi sarebbero probabilmente nati lo stesso i vari Lippi, Capello e quello stesso Ancelotti che di Sacchi si è sempre professato allievo.

In questa intervista rilasciata qualche anno fa, Paolo Maldini, che di quel Milan era una pedina fondamentale, racconta il suo primo contatto con l’allenatore romagnolo. La maniacalità di Sacchi è il primo elemento che balzava agli occhi di tutti coloro che hanno avuto che fare con lui come allenatore. La preparazione della partita o di un’intera stagione passava soprattutto attraverso la scelta di determinati schemi, movimenti, posizionamenti in campo che sembravano essere un elemento introdotto per la prima volta in Italia. In realtà già Trapattoni, anche se nelle interviste sembrava parlarne di meno, era uno stratega eccellente e qualsiasi allenatore ha sempre scelto moduli e tattiche per ottenere risultati, pur avendo in squadra grandi campioni che sembravano risolvere da soli le partite.

La mentalità però quella no. Il grande merito di Sacchi è stato proprio quello di pensare che solo giocando bene e all’attacco (con tutto il corollario di pressing, difesa alta, tattica del fuorigioco che ne conseguiva) fosse un aspetto imprescindibile del calcio. Il Milan, è stata la prima squadra italiana, ad affrontare senza timore squadre come il Real Madrid o il Bayern Monaco in trasferta, imponendo il proprio gioco. Questo gli permette tutt’ora di sentenziare dalle comode postazioni televisive l’operato di altri allenatori, magari più timorosi di loro. Ma nessuno, essendo ormai trattato come un guru, gli ricorda che forse allenasse oggi, Paolo Maldini, come Franco Baresi Marco Van Basten, non giocherebbero né nel suo Milan, tantomeno in Italia.

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