Tutto nasce dall’eliminazione in Champions League a Bilbao: Higuain e l’incapacità di uscire da momenti negativi

Prescindiamo un attimo dalle motivazioni che hanno fatto scattare la rabbia di Higuain al termine della gara con il Parma (e anche durante: il linguaggio del corpo dell’argentino a ogni intervento di Mirante non tradisce). Evitiamo cioè di addentrarci nelle considerazioni morali intorno al litigio e della tensione che scaturisce di solito quando una squadra dalle forti motivazioni di classifica non riesce ad avere la meglio su una che gioca solo per l’onore. E tutto le riesce benissimo, tra l’altro. Spostiamo l’obiettivo sul tema vero: l’emergere in non poche occasioni di un atteggiamento nervoso da parte di un attaccante di livello mondiale quale il Pipita, che forse sopporta poco il non vedere adeguati risultati agli sforzi prodotti e a un talento che certamente merita di risaltare in scenari di vertice, sia nazionale che europeo.

Il tema è quindi il perché e soprattutto quando i tifosi partenopei hanno visto un Higuain sull’orlo di una crisi di nervi e da cosa sia dipeso. Perché è del tutto evidente che al Tardini Gonzalo non abbia inciso come avrebbe voluto e potuto e quando lui sta al di sotto dei suoi abituali standard di rendimento, il più delle volte mostruosamente positivi, il risultato ne risente. Detto altrimenti: se Higuain non gira, il Napoli paga un prezzo. E portarsi addosso questa responsabilità può anche logorare. Non è facile sapere di non potersi mai concedere passaggi a vuoto e la sequenza di gare in tal senso – no Pipita no party – è piuttosto lunga: il pareggio di Bergamo per 1-1 quando lui sbaglia dal dischetto il tiro della vittoria, dopo che lui stesso ha pareggiato la rete di Denis. L’anonima prestazione a Marassi con la Sampdoria, coincisa con un pareggio che arriva solo in extremis grazie a Zapata. La latitanza a San Siro con il Milan, un 2-0 che confina il Napoli nelle posizioni distanti dal vertice. Un “male” molto presente nel girone d’andata – la sezione temporale che ha di fatto ipotecato la stagione partenopea – la cui origine è facilmente localizzabile: l’eliminazione in Champions League.

Il nodo è quello, infatti. E non è un caso che riemerga nella settimana più problematica a livello europeo, dopo l’inopinato pareggio con il Dnipro che complica non poco i piani presenti e futuri della società. E’ al San Mames, quando gli azzurri si presentano per 90 minuti dentro-fuori, che Higuain tradisce se stesso non riuscendo a mascherare la sua poca serenità. Lo si vede nel primo tempo, quando pure la squadra si esprime bene. Il bomber è nervoso, patisce il suo errore quando ancora si è sullo 0-0, finisce per non emergere quando matura la disfatta che comporta l’eliminazione. Ed è qui che si vede un limite di un attaccante che per altri versi non ne ha. E’ l’incapacità di uscire da momenti negativi. Come con il Chievo, quando si perde dopo aver sbagliato un rigore. O con l’Inter, dove viene ammonito per proteste. O ancora a Roma contro i giallorossi, dove a fargli perdere lucidità è la constatazione che gli stanno arrivando troppi pochi palloni realmente giocabili. Il culmine lo raggiunge nella semifinale di ritorno di Coppa Italia, quando l’imprecisione di tante giocate corrisponde a un atteggiamento svagato, di svogliatezza. Come se non ci credesse più e volesse comunicarlo a se stesso, prima ancora che al mondo.

Eppure, in Ucraina basterà una scheggia del miglior Higuain per portare il Napoli in finale. E chissà che anche lo sprint per un posto in Champions, tutt’altro che deciso dati i ritmi di Roma e Lazio, non veda il Pipita nella parte del trascinatore, come sa esserlo nelle giornate buone. Vedi Doha.

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