“Questi sono i calciatori: uomini che giocano con la testa, ma soprattutto con il cuore”. Ferenc Puskas

La testa e il cuore. Merce rara per un calciatore moderno. Mai come di questi tempi ce ne sarebbe bisogno, perché se è vero che il calcio è una religione allora mancano i profeti di un tempo. Qualche anno fa uscì uno dei primi documentari prodotti dall’ex calciatore del Manchester United, il leggendario Eric Cantona. “Les Rebelles du Foot” ripercorreva le storie di cinque giocatori che sono diventati icone di resistenza contro il potere, ben oltre i loro successi sportivi: Pasic, Drogba, Caszely, Mekloufi e Socrates. Cantona, non certo campione di buoni esempi, cercava forse il riscatto dopo anni di risse, arresti e colpi proibiti, mostrando agli appassionati di calcio i valori in cui credeva realmente. Le scelte dei campioni furono impeccabili. Vogliamo dunque riproporvi qui le loro storie di calcio, come esempi concreti di calciatori guida per le generazioni future. Uomini pronti a dare tutto per difendere i propri ideali, che hanno sfidato l’immobilismo comunicativo che spesso attanaglia gli sportivi.

Oltre ai cinque celebri personaggi del documentario abbiamo aggiunto un calciatore italiano dimenticato, anche lui simbolo di quel calcio pensante che tanto ci piace.

Predrag Pasic: una scuola in mezzo alla guerra (Bosnia)

Durante i giorni più sanguinosi dell’assedio di Sarajevo (1992-1996), Predrag Pasic, calciatore jugoslavo, decise di non fuggire e di non rassegnarsi alla logica dell’odio e della violenza. Fondò così il Klub Bubamara, scuola calcio che accolse più di 600 bambini durante i bombardamenti delle forze serbo-bosniache. La scuola calcio creata da Pasic era aperta a qualunque bambino: musulmani, cattolici e ortodossi. In aperta denuncia alle discriminazioni razziali che decidevano i combattimenti. Questo divenne l’impegno per il suo futuro e la sua ragione di vita. Pasic, raccontò così quel periodo: “All’esterno della palestra si sentivano esplosioni, spari, caos e molti dei genitori dei bambini della scuola combattevano tra di loro, mentre all’interno i loro figli semplicemente giocavano a pallone senza capire tutto quell’insensato odio che aveva portato gli adulti a macellarsi tra di loro. I bambini non capivano perché adesso ci fossero tutte queste differenze. Loro si sentivano uguali, a prescindere dal loro cognome o dalla loro religione. Noi abbiamo tentato di rinforzare queste idee attraverso lo sport, attraverso la filosofia unificatrice dello sport”.

Didier Drogba: l’impegno per la pace nella Guerra Civile (Costa d’Avorio)

Didier Drogba è stato uno dei calciatori più importanti degli ultimi dieci anni. Nato nel 1978 in Costa d’Avorio, Drogba sfruttò la grande esposizione mediatica conquistata ai tempi in cui giocava nel Chelsea della prima era Mourinho per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragica situazione in Costa d’Avorio, negli anni della Guerra Civile. Il suo appello alla pace fu decisivo per arrivare a raggiungere una tregua tra il Governo e i ribelli. Nel 2007 ha creato la Fondazione Didier Drogba con lo scopo di contrastare due aspetti chiave che colpiscono milioni di bambini africani: la salute e l’istruzione. Ad Abidjan fa costruire un ospedale per le malattie infantili e in seguito diventa ambasciatore del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.

Carlos Caszely: il “No” a Pinochet (Cile)

Giocatore del Colo Colo negli anni ’60, Carlos Caszely, cileno di origine ungheresi, era soprannominato El Rey del metro cuadrado per le sue abili doti sotto porta. Fu sostenitore della coalizione democratica Unidad Popular guidata dal socialista Salvador Allende. Gli anni ‘70 sono un periodo molto difficile per il Cile, in particolare dopo il 1973, quando il colpo di stato guidato dal generale Augusto Pinochet instaurò un sanguinoso regime autoritario che durò quasi vent’anni. Lo Stadio Nazionale di Santiago divenne un campo di concentramento dove venivano rinchiusi e torturati molti sostenitori di Allende. La madre di Caszely fu anche lei una desaparecida di quel regime: fu infatti arrestata e brutalmente torturata. Alla vigilia della Coppa del Mondo del 1974 in Germania Ovest, Caszely fu l’unico a negare il saluto con la stretta di mano al dittatore Pinochet. Dopo quell’episodio, Caszely è stato attaccato duramente dalla stampa e sospeso dalla Nazionale. Nel 1988, Carlos Caszely è stato uno dei volti della Campagna per il No, il referendum popolare che con il 55,99% dei voti ha contestato l’affermazione di Pinochet.

Rachid Mekhloufi: la lotta d’indipendenza dalla Francia (Algeria)

Mekhloufi nasce in Algeria, colonia francese come la Costa d’Avorio di Drogba. Negli anni ’50 e ’60, milita in diverse squadre sino all’approdo nell’allora grande formazione del Saint-Étienne. Nel 1957 vinse il campionato laureandosi miglior giocatore del campionato. Giocò in 4 occasioni nella Nazionale francese e fu selezionato per il Mondiale di Svezia nel 1958, insieme ad altri campioni come Fontaine e Kopà. Ma prima di partire per l’avventura svedese fuggì clandestinamente insieme ad altri giocatori di origine algerina per dare una svolta storica al suo Paese d’origine. Con altri 10 calciatori professionisti, Rachid Mekhloufi fondò la squadra del Fronte di Liberazione Nazionale, per sostenere la causa algerina nel mondo. La FIFA, dietro le pressioni della potente federazione francese, minacciò immediatamente sanzioni contro qualunque squadra che avesse deciso di giocare contro gli “evasi” algerini. “The 11 Independence” girava in Europa, Asia e Africa, giocando contro diverse squadre e dando visibilità alla rivoluzione algerina. Nel 1962, l’Algeria raggiunse l’indipendenza dalla Francia e nel 1963 la squadra di Mekhloufi divenne ufficialmente la nazionale algerina.

Socrates: la Democrazia Corinthiana (Brasile)

Socrates, stella nel calcio brasiliano, eccelleva nei club come nella Seleçao. Cresciuto a pane, libri e pallone, dal 1974 al 1989 ha militato nel Botafogo, Corinthians, Flamengo e Santos. Nel 1984 lasciò il Brasile per approdare alla Fiorentina, esperienza negativa della sua carriera che durò una sola stagione. Oltre alle sue doti di centrocampista agile e resistente, Socrates portava il suo carisma fuori dal campo con una lotta di resistenza sportiva alla dittatura che il Brasile ha vissuto tra il 1964 e il 1985. Socrates era il volto principale di quella che divenne nota come la “Democrazia Corinthiana”. Nell’aprile 1982, con Vicente Matheus alla presidenza, Waldemar Pires viene eletto per assumere la direzione del club. Pires scelse un sociologo come direttore della squadra di calcio, Adilson Monteiro Alves, descritto da Gilvan Ribeiro come “un giovane sociologo dalle idee rivoluzionarie per l’amministrazione dello sport”. Adilson fece comprendere ai giocatori la necessità di interpretare lo spirito del calcio con gli ideali democratici che molti nel suo paese stavano cercando di conquistare. Iniziò così una rivoluzione nel Corinthians. La squadra di San Paolo era amministrata da Socrates e compagni in maniera democratica. I giocatori proponevano, discutevano e votavano tutte le decisioni. Il primo e unico esperimento di autogestione nel mondo del calcio. In questo modo la squadra cercava di diffondere lo spirito democratico in un paese autoritario schiacciato dalla dittatura. Durante questo periodo il Corinthians è stato due volte campione e prima di una finale, i giocatori trasportarono uno striscione: “Vincere o perdere, ma sempre in democrazia”.

Bruno Neri: il centrocampista partigiano (Italia)

Terzino destro e in seguito mediano, giocò nella Nazionale Campione del mondo di Vittorio Pozzo con Piola e Meazza. Esordì a 16 anni con la maglia della squadra di calcio della sua città, il Faenza e nel 1929 venne acquistato dalla Fiorentina per 10.000 lire. Dopo una parentesi alla Lucchese, nel 1937 passò al Torino e con la maglia granata giocò per tre stagioni. Nel corso dell’esperienza calcistica dimostrò in diverse occasioni la sua avversione al regime fascista. Celebre una sua foto del 1931 nella quale all’inaugurazione dello stadio fiorentino “Giovanni Berta” (l’attuale Stadio Franchi) fu l’unico a non rendere omaggio alle autorità con il saluto romano. Nel 1943, in seguito all’armistizio di Cassibile, si arruolò tra le file della Resistenza partigiana con il nome di battaglia “Berni”. Ciò non gli impedì di continuare la carriera di calciatore. Morì il 10 luglio del 1944, nelle ultime settimane di guerra, lottando insieme ai partigiani sull’Appennino tosco-romagnolo.

 

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