La legge di Bilbao: anche il Napoli paga pegno.
Cinque ragioni per le quali il Napoli non poteva che dire addio alla Champions League (ma non definiamolo “sogno” come scrivono tanti, se arrivi terzo in Serie A l’Europa che conta dovrebbe essere il giusto premio a un torneo di vertice). Cercando di evitare spiegazioni tutte plausibili: la crisi del calcio italiano, con azzurro Nazionale e azzurro Napoli malinconicamente accomunati; la legge di Bilbao, dove si perde anche quando si vince come successe alla Juve nella finale Uefa del 1977, coppa alzata ma 2-1 per i padroni di casa; lo stato di ritardo di condizione delle italiane in generale (siamo accomunati con i turchi nell’iniziare nell’ultima settimana d’agosto i campionati, gli altri sembrano possedere una marcia in più: una situazione che non modifichiamo mai).
1) La lettura delle formazioni. Nel Napoli tutti o quasi di varie Nazionali. Gente d’esperienza consolidata, oltre a un Higuain combattivo (nessuno meglio di lui sa spaziare in orizzontale lungo il fronte d’attacco). Eppure, personalità collettiva e individuale poca. Se si aggiunge il curriculum internazionale di Benitez, c’è di che preoccuparsi.
2) Il senso di frustrazione. Il Napoli entra in campo e non prende campo. Sta lungo e sembra una strategia, volta a creare spazi ampi sui quali far lievitare la propria migliore qualità tecnica. Un’idea che avrebbe anche un senso, se Maggio stoppasse bene un invitante pallone offerto da Hamsik. E, soprattutto, se Mertens o Callejon riuscissero anche solo a ricevere palla per poter puntare qualche volta l’uomo. Invece no, sono sempre spalle alla porta e la frustrazione cresce. Neanche il gol di Hamsik fa crescere l’autostima, a dimostrazione che un episodio favorevole può non bastare in Europa.
3) Il senso di sicurezza. E’ quello che l’Athletic dimostra subito e fa crescere progressivamente, riuscendo a trovare liberi spesso e volentieri i propri uomini tra le linee. E lo fa con più che discreta velocità, personalità tecnica, determinazione. Senza neanche avere troppa preoccupazione di andare al tiro. Capisce in fretta che i gol potranno anche arrivare sul logoramento altrui. Infatti, i 3 colpi da ko in un quarto d’ora saranno tutti condizionati da distrazioni azzurre inguardabili.
4) Campanelli d’allarme. Quel che colpisce nei 2 gol di Aduriz che capovolgono il verdetto è che sono situazioni già verificatesi in precedenza. Perché l’attaccante è uomo che lotta su ogni pallone e Albiol è incredibile che non lo capisca sul lancio del secondo gol (Rafael invece lo sa, ma sbaglia i tempi). Quanto al corner del pareggio, già nel primo tempo c’era stato un atto di grazia da parte di Gurpegi, libero di saltare indisturbato.
5) Il fotogramma della sconfitta. I gol rimangono nella mente, ovvio. Ma ci sono piccole situazioni talvolta più indicative. Rafael che rinvia di mano sul 3-1 con grande fretta e Insigne che non riesce a raggiungere il pallone che sfila sull’out è forse la migliore sintesi del passo che il Napoli non è riuscito ad avere nel merito dei due incontri.