L’Italia di Antonio Conte ancora non decolla: superata per 1-0 Malta, ma i temi sono stati la particolare voce tecnica del Trap e l’ennesima fine del capitolo relativo agli “stranieri” in azzurro
Graziano Pellè ha deciso la partita contro Malta, non una passeggiata, con gol più rocambolesco rispetto a quanto aveva fatto vivere la diretta con la velocità dell’azione sviluppata sulla destra da Candreva. L’attaccante oggi al Southampton è solo uno degli “stranieri” sempre più radicati nel calcio azzurro, cosa alla quale bisognerà abituarsi. Oltre a lui, tra i titolari, anche Darmian (Manchester United), Andrea Pirlo (New York) e Marco Verratti (PSG). E dunque la notizia non è più questa, perché di questa specie che fa specie ne si vedranno presto ancora altri (Immobile e Giovinco quelli forse più scontati), quanto piuttosto o contrario il reale utilizzo, con relativa efficacia, degli oriundi, ovvero gli stranieri da cui spunta un passaporto italiano (spesso e volentieri neanche calciatori anagraficamente di primo pelo).
Insomma, Mauro German Camoranesi è stato fin qui un caso unico e particolare e Conte fa bene a tenerlo a memoria: in campo contro Malta c’era Eder, che aveva fatto ottime cose alla sua prima ufficiale in azzurro pur con difficoltà oggettive con la lingua italiana, ed è stato tra i meno positivi. Di Thiago Motta non c’è più traccia, di Vazquez del Palermo, illuminatore delle domeniche di Serie A, resta la totale inutilità se il percorso segue le tracce del 4-3-3. Una strana storia iniziata con Amauri, proseguita con Osvaldo e concettualmente errata già solo per il fatto che si doveva trattare di salvatori della patria di una patria che non sentono. Certo, ci può essere orgoglio e a poco serve scadere in finti nazionalismi: semplicemente fuoriclasse non lo sono, non sono neppure meglio di chi potrebbe invece giocare eventualmente al loro posto, e il problema è che stranamente il grosso di queste operazioni di inserimenti vengono fatte quasi solo per attaccanti. Ma di attaccante per arrivare in fondo all’Europeo, di uomo-gol ne servirebbe soltanto uno, giusto, ovvero il migliore nel momento in cui conta. Oggi sarebbe Paloschi, per dire. Un anno fa era Zaza. Tra 8 mesi chi lo sa.
Il parco è questo, lontano dal 2002 trapattoniano con Vieri, Totti, Inzaghi, Del Piero, Montella. Serve agire così. E infatti al momento basta Pellè. Che poi di Trapattoni oggi si rida perché stona il suo modo di commentare ottimisticamente, con una passione senza riserve, con acuti da tifo, questa Italietta che sarà chiamata a stupire il continente (perché di questo si tratta) è davvero il segno di quanto il pubblico sia solo e sempre azzurro quando si entra nel vivo. E anzi, sempre meno anche lì. Il Trap di oggi è vero e sincero come ieri, primo educatore di Conte alla Juventus, anima in pena della panchina, personaggio dell’acqua santa ed emblema di chi se frega di telecamere e di 36 milioni di intellettuali del calcio seduti comodamente a casa. La sua macchia è il 2002, cioè non aver capito contesto e momento, non l’entusiasmarsi per i colori azzurri. Lui è uno di quelli che hanno vissuto Byron Moreno, il biscotto scandinavo e un Francia-Irlanda che ha fatto scuola con Henry. E riesce a vivere il calcio in maniera commovente, il che non da proprio per niente ridere. Anzi.