Quanto e come Sir Alex ha stravolto la carriera dell’asso portoghese…
Cristiano Ronaldo è sempre lui, e se ha vinto con stralegittimo merito il Pallone d’Oro 2014, il terzo della sua carriera a una sola lunghezza dal “rivale” Leo Messi (quattro consecutivi per lui), lo deve allo stesso ingrediente che gli permise di vincerlo ad appena 23 anni quando vestiva la maglia del Manchester United. Anche perché Cristiano Ronaldo nella sua fortuna genetica ha la sfortuna di lavorare in un contesto di nazionali ben diverso: il Portogallo ha terminato da tempo la sua grande generazione (quella anni ’90, quella dei Figo, Rui Costa, Paulo Sousa, Fernando Couto, Vitor Bahia) ed è la squadra che fu capace di perdere clamorosamente un Europeo di modesto livello in casa propria nel 2004 perdendo per ben due volte, finalissima inclusa, contro la Grecia di Otto Rehagel.
L’ingrediente di cui sopra si chiama Sir Alex Ferguson, che con lui ebbe la duplice geniale intuizione di mettere sul piatto 17,5 milioni per strapparlo allo Sporting Lisbona quando CR7 aveva appena 25 presenze in prima squadra e 2 reti all’attivo. Cioè, non che il talento non fosse evidente, ma gettarsi a capofitto sul portoghese “possibile erede di Luis Figo” e lanciarlo subito dentro una squadra di campionissimi come era quel Manchester United (ben successivo ai Calypso Boys Cole-Yorke e al mastino Roy Keane che faceva tutto il resto affidandosi poi al solo estro di Ryan Giggs), è stata la mossa perfetta. Ma c’è di più, per questo oggi Cristiano Ronaldo è il prototipo perfetto del calciatore postmoderno, più ancora di Messi che conserva quella stravagante eleganza che ci lega a grandi calciatori del passato: Ferguson ha visto prima di tutti in lui le capacità di assoluto goleador che neppure Ronaldo vedeva e ammetteva. Pensava e sognava di essere una grande ala. E invece passerà alla storia come un grandissimo bomber, ultratecnico e ultraveloce, ma pur sempre un cannoniere. E’ infatti con i gol che si riprende lo scettro 2014, come se lo prese nel 2008 (36 presenze e 31 reti in Premier, 11 gettoni e 8 gol nella drammatica Champions League vinta poi ai rigori a Mosca contro il Chelsea).
Soltanto nella stagione in corso siamo a 16 presenze, 26 gol e 12 assist decisivi nella Liga; 6 presenze, 5 gol e 3 assist in Champions (più doppietta in Supercoppa Europea). Insomma, un robot, una macchina perfetta, una playstation nella playstation, abbandonati anche un po’ i numeri fini a se stessi (qui c’è tanto del lavoro di Mourinho negli anni al Real Madrid) e l’idea di essere un grande dribblatore e crossatore. Non è che non lo sia più, è che ormai da 7 anni non gli è più richiesto e nemmeno può più esserlo, avidamente parlando. Perché i gol pesano, pesano eccome. Ce lo insegnò il golden-boy Michael Owens con il Pallone d’Oro 2001. E prima ancora il sovietico Igor Belanov.