Più dei moduli, conta l’approccio. I bianconeri alla prova della stagione contro il Bayern Monaco

Alla vigilia della super-sfida con il Bayern c’è ancora incertezza su quale sarà la formazione di partenza della Juventus. Oltre alla decisione sugli interpreti, e in conseguenza di essi, diverse sono le ipotesi sul modulo scelto da mister Allegri. So bene che molti dei commenti successivi alla gara, a maggior ragione se si verificherà una vittoria dei padroni di casa, verteranno sulle eventuali assenze tra le fila dei bianconeri, in omaggio a una tendenza critica per la quale sembrerebbe che le partite non esistano in sé, la prestazione dei presenti non conta quasi nulla, il match altro non è che una semplice riproduzione dei rapporti di forza determinati aprioristicamente dall’organico. E se questo fosse vero, occorre subito mettere le cose in chiaro: se le due rose fossero al completo, il Bayern sarebbe superiore alla Juventus e solo il Barcellona potrebbe competere con la banda Guardiola. Fortunatamente le partite esistono, tanto più nelle competizioni a eliminazione diretta, dove il merito dei 180 minuti decide (per questo sarei contrario alla Super Lega, che pure è un’idea politicamente importante: non mi piacerebbe un ulteriore campionato, se così si strutturerebbe, visto l’enorme fascino degli incontri dentro-fuori). Ed è talmente importante non essere più forti, ma dimostrarsi più bravi – secondo la nota definizione di Marcello Lippi per spiegare gli exploit della sua Juve – che non si ha mai in Champions League una finale tra le due favorite (e non solo per il fattore sorteggio, anche se conta e non poco).

La premessa è utile anche per ricordare che la Juve di questa stagione non ha mai presentato in coppa un modulo identico, soprattutto quando è andata a giocare in trasferta. Ma l’analisi va fatta a partire dalla sfida d’andata contro il Bayern, quando Allegri ha proposto il 4-4-2 data l’assenza di Chiellini. Ebbene, occorre ricordare che lo sbandamento del primo tempo con i titolari è stato netto e – circostanza insolita, ma verificatasi e perciò possibile – la correzione di rotta è avvenuta anche e soprattutto grazie all’apporto delle “riserve”. Hernanes ha sfoderato la migliore partita della sua esperienza torinese; Sturaro ha firmato il gol del pareggio e a suggerirlo è stato Morata, che considerare un panchinaro per definizione dopo ciò che ha combinato nella passata edizione è quantomeno un errore, se non proprio un insulto alla storia recente. Se poi si allarga lo sguardo alle precedenti gare, a Manchester la Juve ha vinto proponendo un 4-3-3 con Sturaro ed Hernanes nella formazione iniziale; con il Borussia Moenchengladbach non c’era Khedira e si giocò con un 4-3-1-2. Fu a Siviglia, in una dolorosa ancorchè ingiusta sconfitta, che il 3-5-2 canonico venne scelto, regalando una gara con tante occasioni, senza però trovare la rete che avrebbe reso il futuro più facile, almeno negli ottavi.

A contare maggiormente – e ad essere una motivata fonte di preoccupazione – è l’approccio alla gara, quella timidezza che gli stessi giocatori hanno denunciato dopo il Bayern e che potrebbe riaffacciarsi velenosamente anche all’Allianz Arena, dove può anche pesare quanto successo tre anni fa, con il gol di Alaba segnato dopo 24 secondi che marchiò in maniera indelebile la differenza nel rapporto di forza.

Ebbene, sotto questo profilo, non resta che affidarsi a un’analisi dei fatti per scoprire limiti e virtù della Juventus 2015-16. Anche qui, partire dalla gara d’andata è assolutamente importante. Nel primo quarto d’ora – un lasso di tempo che può valere per provare difficoltà ma anche per reagire – il Bayern ha obbligato Buffon a una parata su tiro di Vidal da fuori e Bonucci si è visto regalare un salvataggio sulla linea da Muller, che non ha segnato un comodo 0-1. In mezzo, però, c’era stata una ripartenza nata da pressing di Pogba, cross di Dybala e mancata deviazione di Mandzukic. Una risposta la Juve l’aveva data, ma la continuità dei tedeschi è stata talmente mostruosa da avere generato 45 minuti di totale sofferenza.

Che gli inizi siano problematici lo rivelano anche le gare di Manchester e di Moenchengladbach. In Inghilterra al primo minuto Sturaro ha perso un pallone sanguinoso e Buffon ha salvato su Sterling, con aiuto provvidenziale di Chiellini. Anche qui la risposta è arrivata, con un calcio di punizione ad opera di Hernanes che ha scheggiato il palo e ha fatto capire che la Juve aveva in serbo ciò che poi si è verificato nella ripresa, quando ha capovolto uno svantaggio immeritato. In Germania, invece, la traversa colpita da Dahoud è stato un chiaro indicatore delle difficoltà che da lì a poco si sarebbero concretizzate nel momentaneo vantaggio della squadra di casa. Dove la Juve è partita meglio – per la serie: il calcio è un infinito contenitore di paradossi – è stato in Spagna. Un inizio positivo, una palla gol sulla testa di Morata (il vero “trailer” dell’incontro, tenendo conto di quante altre opportunità ha avuto lo spagnolo nel resto della partita), un’occupazione del campo perfetta, da leader.

Sono tutte indicazioni che con il Bayern potranno contare. Perchè darsi coraggio attraverso la riuscita di ciò che si è preparato può risultare fondamentale. Come ha detto bene Patrice Evra: in campo si va per agire, non per reagire. Senza contare l’effetto sorpresa, che potrebbe colpire Muller e compagni, abituati a comandare da sempre, tanto in patria che nel contesto europeo.

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