Cresciuto in un settore giovanile d’elite poi forgiato da calciatore adulto quasi soltanto in provincia nonostante le apparenze da predestinato: Alberto Paloschi non si è perso, è rimasto il ragazzo di sempre e adesso inizia la parte più interessante della sua carriera. Verso l’alto, a suon di gol

Alberto Paloschi è bresciano, educato, determinato, persino troppo modesto per essere un calciatore che gioca stabilmente in Serie A da 5 stagioni. Di mestiere fa il centravanti, attaccante centrale o uomo d’area che dir si voglia. Adesso tutti ne parlano perché ha “indovinato” due partite, le prime due del campionato 2015/16 con la maglia del Chievo che punta a far di lui con largo anticipo il nuovo Pellissier. Con tutto il rispetto per la lungimiranza di Campedelli (che ha sbagliato un anno e mezzo su 15 di approdo alla massima serie) Paloschi avrà una parabola diversa dall’ex bomber valdostano. Perché a 25 anni c’è chi è appena all’inizio, se sarà questione di beccare il trampolino giusto, l’esempio di Luca Toni è solo forse il più lampante tra i recenti ma comunque non unico. E non è questione di ruolo, tant’è che la maturazione dei difensori solitamente è più tardiva (lasciamo da parte la categoria dei fuoriclasse). Per Paloschi si tratta di non ricordare l’approccio non fortunato con Genoa e Parma, visti gli infortuni, una volta uscito dalla casamadre Milan che ha fatto ciò che fece l’Inter con Destro fino a perderlo totalmente di vista (Alberto Paloschi oggi è un calciatore a tutti gli effetti del Chievo). In quel di Milanello il nostro si prese le pacche, magari irridenti, dopo i gol lampo contro il Catania in Coppa Italia. Per onorare le emergenze di Ancelotti si perse anche un Viareggio da protagonista l’anno dopo aver vinto quasi da solo il titolo italiano categoria Allievi con i coetanei classe 1990.

Ma qual è il problema di Paloschi? Che non possiede la fisicità di coloro che vengono selezionati dagli scout e negli stage? Che non ha la tecnica cristallina che aveva Paolo Rossi senza la quale Paolo Rossi non avrebbe potuto nemmeno sognare lontanamente la prima squadra? Non ha le esultanze da copertina? Non è bello da vedersi? Questo e anche altro. Tra cui il fatto che si tratta di un calciatore totalmente all’italiana, concreto, applicato, fin troppo ligio alle consegne del mister. Un giocatore che è arrivato forse alla stagione chiave per la sua carriera, magari non a caso quella di France 2016, di quelli che “imparano sempre” come racconta il suo mentore nelle giovanili rossonere Chicco Evani. Molto, troppo italiano. Con una virgola in più che sta nella somiglianza in zona gol con Abel Balbo. Ecco, è qui che in tanti si sono sbagliati: Alberto Paloschi non è il nuovo Inzaghi, non vive in funzione della porta, ma con questa può elevare ulteriormente un rapporto che da quando fu spostato dalla posizione di ala a prima punta a 12 anni è sempre stato molto molto particolare.
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