Correva l’anno 1991, e una delle leggende del calcio italiano, il romanista Bruno Conti, dava l’addio al calcio.
Sarà perché personaggio di radici autoctone, nato a Nettuno il 13 marzo del 1955, sarà perché Roma è sempre Roma e ha un modo ancora oggi tutto suo di vivere e argomentare l’esperienza-calcio cittadina, ma l’evento fu eccezionale. Non di portata mondiale, ma davvero eccezionale.
Uno degli “addii al calcio” più impressionanti e forse anche precursori di una moda poi divenuta abitudine: ecco allora che pensare che uno degli oltre 80.000 paganti di quel giovedì sera con il tutto esaurito allo Stadio Olimpico abbia ancora in mano il tagliando originale, il biglietto dei biglietti, il pezzo di carta che dava un significato a tanti di passione conditi da alcuni successi nazionali di massima importanza (scudetto e Coppa Italia) parrebbe normale. E invece no. Si tratta oggi, a distanza di 33 anni, di un pezzo abbastanza unico, probabilmente ancora reperibile in non più di un centinaio di esemplari intatti.
Un pezzo che tiene con sé non solo la carriera del più “brasiliano“ tra i campioni del mondo azzurri del 1982, ma anche la romanità in tutto e per tutto. Lo dimostrano il fatto che quella storica serata del 23 maggio 1991 fu fortemente voluta dall’ex presidente Viola, alla quale non potè assistere per le beffe della vita e, attenzione attenzione, l’incredibile particolare che solo i tifosi di fede giallorossa possono ricordare: la sera prima, infatti, l’Olimpico ospitava la gara di ritorno della finalissima di Coppa Uefa tra la Roma di Ottavio Bianchi e l’Inter di Giovanni Trapattoni. I nerazzurri, scoprendo ancora una volta il nervo delle grandi incompiute della Lupa su scala internazionale, difesero strenuamente il 2-0 ottenuto a San Siro nel match di andata due settimane prima. A nulla valse il sigillo di Ruggero Rizzitelli a dieci minuti dal termine.E i presenti erano meno di quanti avrebbero gremito gli spalti la sera successiva (paganti 70.901).
D’altronde, come stampato sul biglietto, la “Granfinale” era quella dedicata a Bruno Conti. La notte dell’inchino sotto la sud. La notte del giro di campo con i figli al seguito, uno dei quali non sarebbe stato accolto dalla Roma, come invece avrebbe meritato, costruendo poi una carriera quasi da “nemico” con la maglia del Cagliari. La notte del saluto. Un saluto molto provinciale nel cuore della capitale. Un saluto comunque da incorniciare.